Ti racconto il mio Novecento


Testo di Rossella Paschi

Per riassumere le “vicende” di mio padre, come lui le chiamava, durante la guerra, citerò una lettera di Audrey Bacciagaluppi, moglie dell’ingegner Bacciagaluppi, a suo fratello Harry, in cui gli raccontava le traversie passate durante il conflitto. Giuseppe Bacciagaluppi detto Nino, donde il titolo del libro che ho scritto su mio padre Arturo Paschi, “Il segretario di Nino”, aveva messo in piedi un’organizzazione che aiutava i prigionieri di guerra alleati che fossero riusciti a fuggire dai campi di prigionia a riparare in Svizzera. Era stato Ferruccio Parri in persona a mettere mio padre in contatto con Bacciagaluppi.

Nel gruppo di mio marito cera un ebreo che era un tipo formidabile. “Stava facendo un eccellente lavoro quando, un giorno, fu arrestato da tre di quegli innominabili pezzenti scalzacani e schiaffato in un taxi. Scattò prontamente fuori dall’altra porta iniziando a correre; aveva a malapena percorso qualche metro sotto una pioggia di proiettili quando uno lo colpì, perforandogli sei volte l’intestino – chiedo scusa per il dettaglio.

Lo portarono all’ospedale morente. Quando venimmo a saperlo, ci rendemmo conto che la frittata era fatta: in tasca aveva un elenco in codice di tutti i nomi e gli indirizzi dei nostri collaboratori ed era solo una questione di tempo perché i ‘f‘ (gli innominabili ‘innominati’ n.d.a.) li decodificassero. Eravamo terribilmente preoccupati per il nostro povero amico: se moriva finiva lì, ma se si fosse ripreso, quali possibilità avrebbe avuto di cavarsela, ebreo com’era e per giunta ribelle? Tremavamo per lui e tremavamo per noi, finché il terzo giorno un medico, brava persona, ci fece sapere dall’ospedale che non era escluso che l’uomo si riprendesse. Nino si vide costretto a trovare una soluzione immediata: non poteva permettere che il suo amico si riprendesse per venir fucilato e decise di sottrarlo alle grinfie dell’avversario. Ci vorrebbero decine di lettere per narrarti dei giorni che seguirono. Ogni uomo e donna disponibile fu invitato allazione e la scintilla si sparse in un vero baleno! Dapprima si offrirono cortesemente di darci una mano i pompieri, con tanto di idranti, barelle e tutto il necessario, ma fu un fiasco. Il secondo tentativo fu eseguito con un’ambulanza rubata per l’occasione alla Croce Rossa con tanto d’infermieri in uniforme e medici a disposizione. Il piano era perfetto e sarebbe riuscito, se non fosse stato per una difficoltà insormontabile: non c’era proprio modo di trovare qualcuno disposto a ospitare un ferito in condizioni disperate. Il terzo giorno la situazione si fece seria, perché i ‘f‘ dichiararono che, visto che l’uomo non era ancora spirato, sarebbe stato piantonato all’ospedale. Era questione di vita o di morte, ora o mai più. Fu tosto scartata l’idea di un finto funerale, anche se era già stato organizzato tutto, dal carro funebre all’assistenza di alcuni monaci misericordiosi del cimitero, disposti a nascondere la ‘salma’ fino a quando la si potesse far resuscitare senza rischi. Alla fine, la sera del 10 dicembre, cinque giorni dopo la sparatoria, un furgone per il trasporto di mobili si avvicinò discretamente all’ospedale e, mentre medici e infermieri tenevano chiusi entrambi gli occhi, che siano loro benedetti, il nostro amico veniva portato via su una barella e trasferito all’altro capo della città, in una stanza lugubre, dove rimase nascosto per due mesi, con un’infermiera a sua costante disposizione. Stava davvero molto, molto male, tanto che a un certo punto andammo tutti in giro alla ricerca di un giardino dove seppellirlo di nascosto…”

Riprendo il racconto con le parole di mio padre.

Fu deciso, contro il parere medico, di farmi passare clandestinamente in Svizzera. Siccome ero molto debole, dovevo faticare il meno possibile e mi fu messa a disposizione una macchina, ma alla fine dovetti proseguire a piedi. Con laiuto di un contrabbandiere professionista e la connivenza di due guardie di frontiera, passai il confine.

Per quanto riguarda il mio passaggio, questo era stato annunciato agli Svizzeri, il cui servizio informativo era in contatto con la Resistenza, che gli trasmetteva notizie sui movimenti militari dei Tedeschi, si temeva infatti un’invasione del Ticino.

Fui mandato in un campo di raccolta da dove mi spedirono a Lugano all’Ospedale Italiano. Qui ebbi lonore dincontrare la signora Spinelli e Adriano Olivetti. Al mio arrivo era venuto a trovarmi Dino Luzzatto, un rappresentante dei profughi politici e, poiché gli amici di Milano avevano insistito perché li tranquillizzassi sul mio avventuroso passaggio del confine, essendo egli in contatto con gli Alleati fece trasmettere per tre giorni da Radio Londra il messaggio: ‘Il segretario di Nino è arrivato bene.’”

Quest’annuncio del suo salvo arrivo da parte di Radio Londra è una delle cose che più inorgoglivano mio padre, il cui unico vero vanto era quello di aver fatto la Resistenza senza mai impugnare un’arma.