Storia della famiglia di Aldo e Matilde Vita Finzi Zalman nel 900


Testo di Paola Vita Finzi

La famiglia era composta dal padre Aldo, nato a Ferrara in via Vignatagliata, ingegnere, volontario della Prima guerra mondiale dove fu ferito e decorato e poi richiamato per la Guerra d’Africa (1935-1937); dalla madre Matilde Vita nata a Torino, nipote di Claudio Treves leader socialista, dedita alla famiglia e dai tre figli nati tutti a Milano: Emilio nel 1928, Gisella nel 1930 e Paola nel 1932.

Una famiglia ebraica non particolarmente osservante ma molto legata alle tradizioni. Erano antifascisti come tutti in famiglia. La famiglia attraversò un periodo pesante quando Aldo fu richiamato per la guerra d’Africa e fu lontano dalla famiglia per quasi tre anni. Al ritorno avendo perso il lavoro fondò nel 1937 la Compagnia Impianti Elettrici (CIE) che l’anno dopo dovette cedere a causa delle leggi razziste anche se per i meriti bellici fu discriminato. I ragazzi poterono studiare frequentando dal 1938 le scuole ebraiche.

Come per molti milanesi la guerra divenne particolarmente pesante con i bombardamenti del 1942 per cui avendo anche avuto dei danni, sia pur lievi, in casa sfollammo nel novembre 1942 a Venezia, da parenti, in una città dove potevano studiare alla locale scuola ebraica.

Le vicende successive si sono svolte dopo il 25 luglio e l’8 settembre 1943: noi eravamo a Venezia ospiti delle zie Vita Con l’occupazione della città da parte dei tedeschi, divenne necessario nascondersi e così ci rifugiammo prima a Salzano nelle campagne venete ma ci fu requisita una stanza per un ufficiale tedesco e poi in Val Pellice, dove avvenne la prima battaglia partigiana. Inoltre, la situazione divenne molto pericolosa dopo il 1° dicembre l943 con l’estensione all’Italia delle leggi di Norimberga contro gli ebrei. Il 14 dicembre con l’aiuto di contrabbandieri, riuscimmo a scappare in Svizzera dove per fortuna ci accolsero. Qui fummo ospitati in campi di raccolta non avendo mezzi sufficienti ad ottenere la libertà confinata. Dopo alcuni mesi, la Croce Rossa sistemò Gisella e Paola in un collegio a Castagnola, alla periferia di Lugano.

Emilio fu mandato dapprima a Rovereto e poi a Trevano dove poté riprendere gli studi. I genitori furono mandati in un campo di lavoro a Randa nella valle di Zermatt. Quando nel 1945 giunse la notizia della liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo il 25 aprile sognammo di tornare in Italia. Mio padre, dopo aver cercato invano di rientrare in Italia con mia madre e mio fratello, se ne scappò da solo una notte attraversando il fiume Tresa. Questo gli permise di essere a Milano per riprendere le fila della sua attività: aveva una impresa di impianti elettrici tenuta in vita da amici e dipendenti e inoltre di rientrare in casa dove l’affitto era stato pagato da amici.

L’alloggio però era stato parzialmente occupato da una coppia di sposi i quali non avevano alcun diritto ad abitarci e, spaventati anche all’idea dei tre figli il cui arrivo mio padre preannunciava, se ne andarono abbastanza in fretta. Così al nostro ritorno ritrovammo una casa, fortuna che non tutti ebbero. Mamma e noi tre ragazzi dovemmo aspettare il nostro turno di rientro dalla Svizzera che ci venne concesso soltanto a metà luglio. Raccogliemmo i nostri averi in una valigia di cartone. All’andata avevamo avuto un sacco da montagna sulle spalle. Dopo una notte a Chiasso dove dormimmo in un’aula scolastica, la mattina ci attendeva una fila di camion italiani, aperti, guidati da militari e diretti alla Caserma di Como. Fu un viaggio molto emozionante: lungo la strada molte finestre erano imbandierate e con gente affacciata che ci salutava: non sembrava vero di essere salvi e di nuovo in patria. A Como, dopo il controllo dei documenti, all’uscita ci aspettava papà. Andammo, finalmente liberi in stazione per prendere un treno per Milano. Era una giornata calda e tutto sembrava luminoso e bello nonostante si vedessero molte rovine. Arrivati a Milano, percorremmo a piedi via Donatello con gli occhi spalancati per riconoscere luoghi e persone. Gaetano, l’ortolano con la moglie, vecchi amici, erano sempre lì. L’alloggio era ancora mal ridotto, pieno di cimici, ma papà era riuscito a farci trovare un letto ciascuno.

Nei giorni seguenti si poté man mano vedere chi si era salvato, chi era andato altrove, chi era scomparso del tutto. Dalla casa si erano allontanate due famiglie fasciste. In via Donatello 26 mancava tutta la famiglia Levi (padre Aldo, madre Elena e i figli Italo ed Emilia): deportati; in Viale Abruzzi 48 tutta la famiglia Morais (padre Carlo, madre Ida e figli Graziella e Alberto): deportati; in via Spinoza 2 mancava Oddone Pesaro nostro cugino, deportato. Erano i nostri amici più cari.

La vita riprese molto intensa per recuperare il tempo perduto (per noi due anni di scuola) e per ricostruire il distrutto e insieme un mondo più libero e migliore. In via Eupili, nei locali della scuola ebraica ritrovammo i compagni e gli insegnanti sopravvissuti e iniziammo un periodo molto intenso di studio per presentarci agli esami di settembre nella scuola pubblica, ora accessibile anche a noi. Si trattava di approfittare di una sessione speciale d’esami per reduci e perseguitati.

Così negli anni e fino alla pensione Aldo continuò a lavorare alla CIE, Matilde riprese a occuparsi della famiglia, Emilio si laureò in Ingegneria e lavorò in diverse aziende, Gisella si laureò in Scienze agrarie e insegnò negli istituti tecnici per geometri, economia e estimo, Paola si laureò in Chimica Industriale svolse la sua attività accademica presso il Politecnico di Milano e presso l’Università di Pavia come professore ordinario di Chimica organica e anche come Pro-Rettore vicario per 12 anni.