
Testo di Bice Fubini
Il mio ‘900 inizia ad Alassio nell’aprile del 1943. Sul mio certificato di nascita fu scritto “questo neonato ai sensi della legge… è di razza ebraica”, ma lo seppi solo quando, in occasione del mio matrimonio, mi fu chiesto la copia del certificato originale ed un onesto impiegato dell’anagrafe, leggendo quella scritta, sentì il bisogno di mostrarmelo, scandalizzato.
Invece i racconti sulla mia nascita sono allegri e divertenti: l’ostetrica che non osa dire a mia madre che non sono il maschio che lei desiderava; mia madre che se la piglia con il dottor Deaglio, nobile figura antifascista alassina ed amico di famiglia, per averle negato l’anestesia; il cugino Dattolo Vita (molto estesa la famiglia Treves!) che capitato lì, da ottimo fotografo, mi fa un servizio degno di una principessa; la cugina Luisa Levi che, scesa dalla villa in collina, da un fiocco rosa al cancelletto della piccola clinica scopre che sono nata. Solo molto tempo dopo, ero già madre, mi resi conto di quello che contemporaneamente alla mia nascita, succedeva/era successo ai bambini “di razza ebraica” in mezza Europa.
I miei genitori, Renzo e Marisetta, da Torino, in seguito ai bombardamenti si erano trasferiti nell’alloggio di Alassio, acquistato nel lontano 1919 dal mio nonno materno, Marco Treves, psichiatra positivista e basagliano “ante litteram” che, affascinato dal lungo balcone sul mare pieno di sole, non aveva esitato a farlo suo in quattro e quattr’otto, pur sapendo che era “sul piano regolatore” e prima o poi avrebbe dovuto essere abbattuto per costruire una maestosa passeggiata a mare.
Conoscendo le lentezze delle italiche amministrazioni, sosteneva che sarebbe morto prima lui. Infatti, così avvenne, pochi mesi prima dell’aprile ‘ 43 della mia nascita. Non credo che arrivasse a pensare che i suoi pro-pronipoti ancora l’avrebbero goduto, ma così è. Sua sorella Annetta, sposata ad Ercole Levi poco dopo seguiva il fratello acquistando la villa in collina.
Le uniche foto di me con mio padre, che qui invio, sul suddetto balcone, credo risalgano a quell’agosto in cui tanti, come loro, si illusero che dopo il 25 luglio tutto sarebbe tornato come prima. Nel volger di pochi mesi mio padre fu inghiottito nella Shoah, mentre mia madre, con grande presenza di spirito, riuscì a salvare me, sua madre e sua nonna sfuggendo all’arresto. Cosi crebbi in un nucleo famigliare di sole donne, tre generazioni di vedove, per alcuni anni, fino a che zio Guido, fratello di mia mamma, non ritornò dal Perù. Pare che all’inizio ne avessi quasi timore, non abituata a uomini in casa.
Qui finisce per me il ‘900 di mio padre, su cui calò, come in molti casi analoghi, un complice silenzio: io non chiedevo, loro non dicevano, molto frammentario il poco che sapevo: uomo buono, brillante economista. Nulla sulla sua fine, scoperta solo sul “Libro della Memoria”. Ci vollero gli anni duemila, con i cambiamenti sulla percezione del passato e, principalmente per me, “La via di fuga, storia di Renzo Fubini” scritto da mio cugino Federico Fubini, in stretto contatto con me, per trasformare quello che era fino ad allora un fantasma, in una persona reale, ricca di esperienze, che era vissuta.
Tornando agli altri protagonisti di questa storia voglio ricordare la bisnonna, Bella Allegra, soprannominata Letizia, cui ben si addicevano quei nomi. Alcuni suoi detti “A je sempre al pes” tradotto dal piemontese: “c’è sempre il peggio”, detto anche in momenti terribili o “Il meglio è nemico del bene” mi sono sempre presenti. Nei primi anni del dopoguerra al mattino stavo con lei perché mia madre e mia nonna vollero subito recuperare i posti di insegnanti da cui le avevano cacciate nel ’38. Entrambe insegnavano con passione Scienze Naturali e mi hanno trasmesso una intima venerazione per la natura nei suoi vari aspetti. Mia nonna Rosetta si era conquistata il permesso di iscriversi all’Università, studiando segretamente il programma liceale del fratello, oltre la scuola di cucito cui l’avevano relegata. Mia madre Marisetta aveva un vero culto per il Metodo Scientifico Sperimentale che devo aver interiorizzato con il latte.
Tornando al balcone di Alassio, ne esiste una foto antica con assiepati Treves e Levi al completo. Marco e Annetta (e Claudio, famoso esponente del socialismo), i più giovani di una numerosa famiglia, erano profondamente legati tra loro, di conseguenza il legame tra i cugini era quasi fraterno e cosi fu tra me ed i loro figli, in particolare i miei coetanei Stefano (Levi Della Torre) e Guido (Sacerdoti), importanti protagonisti delle mie estati. La famosa casa Levi sulla collina, spesso descritta da Carlo Levi, fu sempre un faro ed una meta, dove si incontravano le persone più svariate ed interessanti.
Non è che le sorelle maggiori di età non frequentassero mio nonno, anzi, quando qualcuno dei loro figli o nipoti presentava un malanno fisico o psichico, sempre ci si rivolgeva alle cure dello “Zio dottore”. Numerosi aneddoti da svariati cugini mi sono giunti nel corso degli anni. Spesso riferiti a fatti avvenuti ad Alassio.
Il flusso di ricordi attorno alla casa con il balcone, dove – a caso? – si svolsero tappe fondamentali della mia vita, potrebbe continuare, ma mi fermo qui.