
Testo di Daniel de Lucia
Per le gite, mia madre era solita portarmi in luoghi d’arte e di storia d’Italia molto importanti.
Ad esempio, una volta mi portò a Pompei.
Io non capivo bene cosa ci trovasse d’interessante in una marea di macerie abbandonate dovunque.
Di certo però, la vedevo presa da ogni particolare.
Ricordo quando mi mostrò un cane pietrificato.
Io pensavo fosse una statua, ma lei mi spiegò che era veramente un cane che divenne di pietra quando il Vesuvio eruttò e tutte le ceneri, i detriti, il fumo rovente, raggiunse quel cane lì.
Pompei divenne per me affascinante proprio in quel momento lì.
Mamma lo indicò proprio, il Vesuvio, che sorgeva là maestoso dietro colonne, gradini e muri.
Scoprimmo anche corpi di persone, di bimbi come me, pietrificati, ma mamma non si soffermava lì.
La cultura ebraica è una cultura di vita, diceva, vedere delle persone morte, non lo trovava istruttivo e positivo, mamma.
La nostra guida parlava poi tanto, ma io e lei ci staccavamo spesso dal nostro gruppo e ci addentravamo in angoli dispersi di Pompei alla scoperta di cose molto singolari e tra di loro molto diverse.
Incontrammo tipo, anche una signora anziana piuttosto obesa.
Era caduta inciampando tra quei massi giganti di pietra che vicini, costituivano molti tratti di strada.
Era seduta su un muretto e aveva le ginocchia sanguinolenti.
Si lamentava dal dolore ed era sola.
Io la capivo molto bene.
Io, quando cadevo, e cadevo così tante volte da aver presto perso il conto, avevo le ginocchia proprio come quelle della signora.
Sbucciate, si diceva da noi.
Mia madre le si avvicinò e cominciò a medicarla secondo le regole del Maghen David, la succursale israeliana della Croce Rossa.
La signora era riluttante in un primo momento ma poi si lasciò curare.
Vedevo mamma talmente impegnata a pulirla e medicarla che rimasi fermo a guardarla.
Lei aveva un occhio sulla signora e l’altro su di me.
Non so come facesse.
Indaffarata tra noi due, nonostante il caldo allucinante.
Il sole picchiava e picchiava che decisi di togliermi il cappello.
Mamma mi disse allora in ebraico, secca: “Ehi, il cappello! Rimettitelo!”.
Era di spalle ma parlava come se mi avesse davanti.
“Vuoi riprendere a perdere sangue dal naso?”
Mi spaventavo molto quando sanguinavo dal naso per il caldo.
Mi rimisi il cappello, io, che lei ancora non aveva terminato la frase.