
Testo di Sara Cividalli
L’uomo corre lungo il molo quasi ad inseguire la nave che si allontana lentamente.
Sulla nave, la madre, Gilda, il padre, Carlo, con loro la cognata e i nipoti. Il padre singhiozza “non lo vedrò mai più”. Partono, si lasciano dietro un mondo, nel bene e nel male.
La vita non sarà più quella di prima.
La sorella è partita nel ‘37 con un permesso per la Palestina mandataria.
Nel ‘38 la famiglia del fratello Gualtiero si è rifugiata in Svizzera, a Losanna. Gualtiero con un visto turistico, è riuscito a partire per Tel Aviv, e lì, nel marzo del’39, ha ottenuto il permesso di ingresso per la famiglia che, però, nell’estate è tornata in Italia per le vacanze per mantenere una promessa fatta ai genitori della moglie Maria. Gualtiero non si muove, per fortuna, altrimenti sarebbe stato immediatamente arrestato come antifascista.
Scoppia la guerra, Maria vuole ripartire ma non può affrontare il viaggio da sola con cinque bambini, l’accompagnano i suoceri, Carlo Cividalli e Gilda Contini Cividalli.
Il maggiore dei fratelli Cividalli, Giorgio, dal molo, li vede allontanarsi. Non parte, non partirà, la moglie Wanda non desidera lasciare soli i genitori anziani. Li attende un lungo brutto periodo pieno di angosce e timori.
Gilda e Carlo vanno ad abitare in un piccolo appartamento a Tel Aviv, vicino al mare, vivono con la pensione di Carlo, pensionato delle ferrovie, nel ‘40 con l’entrata in guerra dell’Italia la pensione non arriva più. L’esercito italiano all’una di notte bombarda la loro abitazione, si rifugiano dal figlio Gualtiero e poi coabitano con un dentista che usa l’appartamento solo come studio. Carlo va a fare la spesa, cerca di aiutare come può, pulisce il riso che è pieno di sassolini e forse di piccoli animali, Gilda cucina, forse fa la nonna dei piccini, non ne ho ricordi indiretti. Finita la guerra, nel ‘46 riescono ad avere il permesso per rientrare in Italia passando dall’Egitto dove, al Cairo, la nipote grande, Paola, è militare dell’esercito inglese.
Il 26 luglio, a Firenze, festeggeranno le loro nozze d’oro. Tornano in Palestina nel ‘47, sono lì durante la guerra di indipendenza dello Stato di Israele.
Alla fine del ‘48 rientrano in Italia. Carlo muore nel luglio del ‘51 dopo essere diventato bisnonno, non ha conosciuto l’ultima nipotina, la figlia piccola di Giorgio.
Gilda continuerà ad andare in su in giù per vedere la numerosa famiglia che abita in Israele.
Per me, nipote della sua vecchiaia, la nonna Gilda è stata una nonna meravigliosa.
Mi raccontava, mi parlava di tante cose, alcune non le ricordo eppure le so. Mi raccontava di quando a Ferrara, giovane ragazza, andava nell’emporio di suo padre Beniamino Contini e stava dietro al bancone. Lì aveva imparato a fare i pacchetti. Mi raccontava dei fratelli, Ciro, l’architetto, e Nello. Mi mostrava la medaglia della nonna Allegrina Almansi ottenuta all’Esposizione italiana di Firenze del 1861 in quanto direttrice della filanda di Scandiano. Mi diceva delle titubanze del futuro sposo, del suo aver preso in mano la situazione.
Mi parlava fin da quando ero piccina, piccina, diceva che avevo bisogno di compagnia. La mia mamma sorrideva pensando che forse era lei ad aver bisogno di compagnia, sorrideva e ci lasciava fare. Mi ha insegnato a fare le copertine all’uncinetto, a maglia tunisina, a dire alla luna “salutami la mia Carlotta” (la sorella che abitava in Israele), e lei contemporaneamente, ne sono certa, mandava i suoi saluti alla figlia, al figlio e ai nipoti. Mi ha insegnato che si può essere in relazione stando lontane. Mi ha insegnato la gioia di prendersi cura di sé. Mi ha insegnato che si può essere una nonna insistente, che tutte le sere viene a chiederti se hai detto lo Sheman, pronunciando rigorosamente con enfasi la hain finale. È stata la nonna che mi tenuto accanto a sé mentre accendeva le candele del venerdì sera e canticchiava, stonata, Yom ze leIsrael. La nonna che mi ha fatto ascoltare e riascoltare il disco registrato da Leo Levi e dalla famiglia la seconda sera di Pesach a Tel Beniamin proprio per lei che tanto amava quel canto. La nonna che faceva un charoset meraviglioso e le palline di tacchino che aveva imparato a fare nei suoi anni israeliani.
Una donna che ha visto tanti cambiamenti, che ha saputo essere se stessa in ogni situazione, ha saputo essere trasgressiva senza eccedere, come quando fumava una sigaretta, una donna le cui radici hanno dato tanti frutti che, in qualche modo, la rappresentano, ognuno a modo suo.
