
Testo di Alberto Zylberstain
Questa è la storia dei miei genitori, due persone che nella tragedia universale della Seconda guerra Mondiale e della Shoah, grazie a intelligenza e spirito di avventura, hanno avuto una vita che si può definire fortunata. Il loro incontro è l’oggetto di questa storia. Su alcuni dei fatti che racconto non ho informazioni precise, ma solo racconti di famiglia, e potrei essere impreciso su alcune date.
Mirella, nata a Torino nel 1919, figlia di Eugenio Vita e Valeria Josz, riuscì ad ottenere il diploma di Arpa al conservatorio di Torino pochi mesi prima della promulgazione delle leggi razziali. Di lei ho un certificato dell’anagrafe di Torino che ne certifica “l’appartenenza alla razza ebraica” (la data del certificato è il 1947!).
Era chiaro che non avrebbe avuto alcuna possibilità di lavoro. Tramite conoscenze di mio nonno Eugenio, che commerciava con il mondo intero, ottenne un contratto di arpista presso l’Orchestra del Teatro Municipale di San Paolo del Brasile. L’idea di Eugenio era che almeno una dei figli sarebbe stata al sicuro.
Si imbarcò quindi, con i suoi 19 anni e la sua arpa, in tempi molto rapidi, su una nave in partenza da Genova. Ignoro la data, ma ricordo il nome della nave, l’Alcantara, credo Inglese. Al suo arrivo in Brasile venne accolta e aiutata da una piccola comunità di ebrei torinesi e di antifascisti, amici di famiglia, che avevano lasciato l’Italia anni prima, e prese servizio al Teatro, dove rimase, a periodi alterni, fino al ritorno in Italia nel 1948, distinguendosi come seria professionista e facendosi apprezzare da grandi Direttori d’Orchestra internazionali, alcuni a loro volta esuli, che visitarono San Paolo negli anni di guerra.
Herman è nato nel 1911 a Lodz, Polonia, allora sotto occupazione russa. I miei nonni si chiamavano Zlama e Feigla Chawa, e so poco di loro. Prestò servizio militare nel rinato esercito polacco, e dopo un anno di Ingegneria all’università di Varsavia dovette abbandonare a causa del crescente antisemitismo. Si trasferì in Italia per studiare Chimica, prima a Padova e poi a Genova. Ottenne la Laurea in Chimica nel 1938. Dopo un inizio come assistente all’Università stessa, fu, come tutti, travolto dalle leggi razziali. Ho un suo passaporto che riporta quattro timbri del Reich, con aquila e svastica, che certificano un suo viaggio in Polonia e ritorno. Vide la famiglia per l’ultima volta, e tornato a Genova si imbarcò per il Brasile. Ignoro la data, ma la possiamo immaginare in tempi abbastanza vicini a quella dell’imbarco di Mirella. So che a San Paolo ebbe facilità a trovare lavoro come chimico, anche con un certo successo.
Dove e quando le loro strade si incrociarono non lo so per certo, so che si conobbero frequentando una società di concerti, e Herman si presentò parlando in perfetto italiano. Come è normale per dei giovani, malgrado le brutte notizie provenienti dall’Europa conducevano un’intensa vita sociale, tra i fuoriusciti italiani Mirella, in un ambiente di ebrei polacchi e tedeschi Herman. Ho ascoltato molti racconti, e alcuni di questi interessanti amici li ho conosciuti in occasione di un mio viaggio in Brasile nel 1975.
Per alcuni anni Mirella condivise un appartamento con una giovane ebrea tedesca, Eva, che insieme al marito Wolf Sopher ebbe una grande importanza nella sua vita, e anche nella mia. Vorrei ricordarli qui con affetto.
Dai loro racconti ho il ricordo di una vita felice e intensa, di una perfetta integrazione. La loro lingua era il portoghese, che continuarono a parlare in casa per molti anni della mia infanzia. Date le incertezze della guerra, ne aspettarono la fine per sposarsi, e il certificato di matrimonio porta una data del 1946. Entrambi chiesero e ottennero la cittadinanza brasiliana: Herman la mantenne per tutta la vita, Mirella ci rinunciò per non perdere quella italiana, secondo le regole di allora. Poco dopo si imbarcarono per tornare in Europa. Mirella ritrovò la sua famiglia, ad eccezione di due zii, Italo Josz, morto nel 1942 affranto da quanto stava succedendo agli ebrei nel mondo, e Aurelia Josz, deportata e uccisa ad Auschwitz nel 1944.
Della famiglia di Herman sono sopravvissuti solo una generazione di giovani cugini che furono convinti da uno zio previdente a lasciare la Polonia in tempo, e lo zio stesso con la moglie li seguirono. I loro discendenti, miei cugini, sono sparpagliati nel mondo, e a fasi alterne siamo ancora in contatto. Dei suoi genitori, di sua sorella Ludka e del marito Izrael Rozental, e di tutti gli altri zii e parenti rimasti in Polonia non si è mai saputo nulla. A Herman è rimasto un nodo in gola che gli ha impedito di parlarne fino alla fine, quel poco che so della famiglia l’ho saputo dai cugini.
Nel 1947 Herman e Mirella ritornarono in Brasile, da cui partirono poi definitivamente nel 1948 o 49. Nel 1952 sono nato io, a Milano, ma è un’altra storia. Dai miei genitori ho imparato ad affrontare il mondo con coraggio, a viaggiarci come loro con piacere e spirito di avventura.
La loro vita, anzi ora la nostra, proseguì finalmente tranquilla per molti anni con notevoli successi professionali, lui come chimico, lei come insegnante, concertista e scrittrice. Herman ci lasciò all’età di 85 anni, Mirella visse fino a 93 anni.
La foto che allego è di due giovani, su una spiaggia vicino a Santos, che ora è circondata da grattaceli.
Due brevi aneddoti:
- tra i compagni di studi a Genova c’era un amico polacco, studente di medicina, Izhak Heger, che per vie diverse e fortuite sposò la sorella di mia madre, e divenne quindi mio zio.
- un compositore americano contattò negli anni ‘80 mia madre per motivi professionali. Mio padre partecipò all’incontro, e dopo essere stato in silenzio gli rivolse la parola in polacco. Era un vicino di casa di Lodz, da cui aveva ricevuto le ultime notizie dei genitori.